23/05/2017
Il “valore uomo” nell’assicurazione infortuni
All’assicurazione contro gli infortuni non mortali (rientrante nei rami danni) va estesa l’applicazione del principio in base al quale l’assicurato non può, mediante la stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, ottenere l’indennizzo da più assicuratori, perseguendo fini di lucro (Cassazione Civile n. 7349-2015, n. 13233-2014, n. 13485-2011 e tante altre).
Ciò significa, nei rami danni, che non si non può pretendere un indennizzo superiore al valore della cosa assicurata al tempo del sinistro.
Il concetto sembra applicato anche nel caso di un incidente stradale nel caso in cui la compagnia del responsabile abbia liquidato il risarcimento (e non l’indennizzo) per quanto capitato all’infortunato. L’assicurato, cioè, non può pretendere altro, anche se aveva stipulato una polizza infortuni con altro assicuratore.
Mi rendo conto che molti insorgeranno contro questo principio e che potranno portare come esempio casi in cui la compagnia ha invece liquidato un altro indennizzo oltre a quello spettante per legge, ma la situazione è quella sopra esposta, giuridicamente parlando.
Trovo però spesso il riferimento della Suprema Corte (sentenze n.9961/2017 - 13233-2014, ecc.) al 2^ comma dell’art. 1908 del c.c.: “Il valore delle cose assicurate può essere tuttavia stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti.”
Questo significa che “le cose” indicano anche “le persone” e che la stima accettata è insita nella dichiarazione del valore assicurato. Se questo è il principio, tutte le volte in cui i valori assicurati sono inferiori al risarcimento spettante ai sensi di legge, nulla è dovuto all’assicurato. Però, nel caso in cui il capitale assicurato con la polizza infortuni sia superiore, l’assicurato avrà diritto di avere la differenza tra quanto liquidato a titolo di risarcimento e l’indennizzo derivante dalla polizza infortuni.