30/06/2016
Responsabilità da prodotto difettoso e riconoscimento dei “danni punitivi” in Italia.
Durante una gara motociclista, per un vizio del casco venduto da una ditta americana ma prodotto in Italia, un concorrente subiva diversi danni. La società americana, in funzione dell’indennizzo corrisposto al motociclista danneggiato (oltre un milione e mezzo di dollari), chiedeva la reintegrazione patrimoniale e che fossero dichiarate efficaci nonchè esecutive le sentenze che avevano condannato l’azienda italiana alla reintegrazione patrimoniale da parte del Giudice americano.
La società italiana ricorre al Giudice Italiano deducendo la contrarietà delle sentenze americane all’ordine pubblico per «comminatoria di danni punitivi (punitive damages) in ragione della loro inammissibile funzione sanzionatoria della condotta del danneggiante anziché risarcitoria dei danni subiti dal danneggiato».
La Corte d’Appello rigetta le eccezioni sollevate dalla società italiana, ritenendo che non fossero stati risarciti danni punitivi, nella sentenza americana, ma che si trattasse unicamente dell’azione di manleva del rivenditore americano per l’importo risarcitorio corrisposto, senza specificare di quali danni si trattasse.
La Suprema Corte di Cassazione, investita del caso, dopo avere esaminato i principi affermati in precedenti sentenze (Cass. n. 1183/2007 e Cass., n. 1781/2012) in cui si nega la «riconoscibilità delle sentenze straniere di condanna al pagamento di somme a titolo di danni punitivi», si concede una disamina del problema in funzione del principio che deve tener conto non solo del contesto nazionale, ma anche del “nuovo” contesto europeo-internazionale e del processo di globalizzazione degli ordinamenti giuridici cui si sta andando incontro e “visto l'art. 374 c.p.c., comma 2, rimette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in quanto implicante la soluzione di una questione di massima di particolare importanza”.
Quali le conseguenze per la polizza R.C. del Produttore (e non solo) nel caso che le Sezioni Unite ammettessero la possibilità di avere, anche in Italia, il riconoscimento dei “danni punitivi”? Viene da augurarsi che la risposta non sia: ai posteri l’ardua sentenza!